Una settimana di solidarietà.
“La storia insegna che l’inizio è difficile ma nulla è impossibile. Tutto è possibile.”
Ho pensato che sarebbe stato significativo aprire il mio articolo con questa frase pronunciata da un medico saharawi perché racchiude in poche parole il senso della vita di questo popolo che ho avuto la fortuna di conoscere nel mese di Marzo grazie al progetto di solidarietà portato avanti dall’AIC e dalla Associazione livornese di Solidarietà per il Popolo Saharawi.
Per una settimana abbiamo vissuto a contatto con questo popolo, abbiamo condiviso le loro abitudini e affrontato le ostilità del deserto e dei disagi igienico –sanitari e posso sinceramente affermare che i miei piccoli sacrifici per dar loro una mano non sono stati nulla in confronto al grande insegnamento che mi hanno lasciato:
“Affrontare la vita con il sorriso, con fiducia, con ottimismo e con umiltà”.
Quando ho deciso di vivere questa meravigliosa esperienza non sapevo bene a cosa andassi incontro sebbene conoscessi a grandi linee le tristi vicende del popolo saharawi.
Immaginate di leggere un libro di storia e vedere stampati su un foglio di carta date, nomi, avvenimenti, scoperte, guerre, vite.
Ora chiudete gli occhi e provate a dare un’immagine a quel fiume di parole stampate: anche se la fantasia può correre in vostro aiuto non riuscirete mai a far parte completamente di quella realtà.
Perché?
Perché seppure durante tutto il tempo che divideva la mia partenza ho provato a pensare come sarebbe stato, a farmi un’idea di un altrove a me lontanissimo e di un altro altrettanto “diverso” da me per cultura, religione, costumi, tradizioni e vicende storiche ho avuto risposta alle mie domande e alle mie curiosità soltanto trovandomi immersa nella vastità del deserto e a contatto con i saharawi.
Finalmente potevo toccarli, sentire la loro voce, farmi raccontare la “loro” storia, quella vista attraverso i loro occhi e le loro ragioni, vissuta attraverso le loro emozioni e i loro dolori.
È proprio una voce rotta dall’emozione durante un racconto, un particolare sorriso, un’espressione nostalgica o felice, un ricordo che fanno la differenza quando si cercano delle testimonianze vere e le si possono trovare solo ascoltando chi le ha vissute sulla propria pelle.
Qui non si tratta di giudicare chi ha torto o chi ha ragione o di cercare verità nascoste ma solo di dare voce ad un popolo che da trenta anni sopravvive, non vive perché lotta quotidianamente con la povertà, la fame, con l’ostilità del deserto, con le malattie, con il caldo insopportabile, la mancanza d’acqua, costretto ad un esilio forzato e alle conseguenze nate dalla divisione dei nuclei familiari.
Il mio articolo non vuole assolutamente entrare nei dettagli politici o burocratici ed è per questo che cercherò di trattare la celiachia che ci accomuna con questo popolo esimendomi da questi aspetti ma tentando di raccontarvi come i saharawi di fronte all’ennesimo ostacolo abbiano reagito.
Premetto che tutte le mie riflessioni, le mie considerazioni e la mia sensibilità intorno alla celiachia scaturiscono dal fatto che io stessa sia celiaca e quindi credo di aver osservato le condizioni con cui vivono i celiaci saharawi con un occhio “esperto”, cercando di immedesimarmi in loro.
La comparsa della celiachia ha inevitabilmente aggravato la già disastrata vita del popolo saharawi, soprattutto nella fase iniziale quando non era ancora conosciuta e senza una causa comprensibile morivano bambini.
Sia il prof. Catassi che Patrizia hanno manifestato molta soddisfazione nell’aver constatato l’evoluzione progressiva del Progetto Celiachia da quando, molti anni fa, ne hanno assunto l’impegno creando una fitta collaborazione tra Aic e Associazione Livornese di solidarietà per il popolo Saharawi.
La felicità più grande è stata quella di verificare che il progetto essenzialmente va avanti da solo grazie alle persone del posto che, dopo essere state educate al problema e armate degli strumenti tecnici e conoscitivi essenziali, sono state in grado di creare un canale di comunicazione sia con il paziente stesso che con le famiglie.
Io per una settimana, insieme ad altre compagne d’avventura celiache, sono stata ospite di due famiglie dove alcuni componenti erano celiaci.
Ho potuto notare con quanta rigidità osservino la dieta senza glutine per i loro piccoli nonostante le ristrettezze alimentari dovute alla povertà oltre a quelle imposte dalla celiachia stessa!
Sia i bimbi che la famiglia stessa mi sono sembrati ben consapevoli di cosa significa essere celiaci, dei limiti che comporta e dei rischi che ne deriverebbero se ci fossero “trasgressioni”. Ma soprattutto ho potuto verificare che la celiachia è stata accettata visto che viene affrontata con il sorriso e non è considerata un problema… Anche se ne avrebbero tutte le ragioni!
Questo popolo è animato da un forte spirito di sopportazione e di ottimismo e sono state le due qualità che più mi hanno colpito per non parlare del loro fortissimo senso di ospitalità e di generosità!
Ho potuto osservare con i miei occhi anche la realtà di quegli adolescenti celiaci che vivono fuori la protezione della casa e che per la prima volta si trovano a dover affrontare la loro condizione da soli frequentando il sesto anno di scuola nel collegio.
Le loro scuole sono molto umili ma si è cercato di renderle il più accoglienti possibili sia a livello umano che estetico; purtroppo sia i dormitori, le aule, i cortili, i bagni, le cucine e le mense stesse sono in condizioni disastrose seppure alcune aree siano state ristrutturate.
In queste condizioni come si può immaginare che sia possibile organizzare una cucina senza glutine anche per pochi ragazzi celiaci e garantire loro un’alimentazione equilibrata e regolare?
Eppure nonostante tutte le complicazioni e i disagi, la mensa scolastica riesce a garantire la dieta priva di glutine anche se questo comporta che quei bambini debbano mangiare in un’altra area attrezzata esclusivamente per le loro esigenze.
Sembra strano crederlo se si pensa che ancora oggi questo tipo di mentalità è quasi totalmente estranea alla cultura italiana. Quando ho visto dove erano “relegati” quei bambini durante i pasti, che come si sa sono i momenti migliori di socializzazione, ho pensato che non fosse giusto isolarli dal resto della scolaresca: mi hanno spiegato che per ora non è possibile offrire loro una soluzione diversa e mi auguro che vivano questo isolamento senza complessi.
Questa realtà mi ha portato a fare una riflessione: forse noi occidentali viviamo la celiachia in maniera più esasperata avendo più modelli con cui confrontarci e un mondo con cui scontrarci per superare le “barriere” dell’alimentazione.
In quella settimana di marzo, passata troppo in fretta purtroppo, ho provato delle emozioni fortissime sia per la durezza della vita che i saharawi sono costretti a condurre sia per la bellezza dell’arido deserto che è popolato da persone meravigliose che hanno bisogno della nostra solidarietà per dare una svolta incisiva alla loro storia…
I Saharawi sono una popolazione fornita di una saldissima forza di volontà, di coraggio, di amore, di intelligenza e di apertura verso gli altri ma hanno bisogno del sostegno materiale e affettivo di tutti noi per sopravvivere…
Se li conosceste ve ne innamorereste come è capitato a me in una sola settimana…
GRAZIE al popolo Saharawi il cui ricordo mi riempie il cuore di gioia e di emozione appena nella mente mi si riproduce un’immagine o un suono, anche il solo silenzio, di quel mondo meraviglioso che mi ha regalato la consapevolezza di quanto sia bella la diversità e di come ci si possa sentire a casa anche a migliaia di km di distanza se si è circondati da calore e umanità…
Concludo il mio articolo dando la parola a loro, i Saharawi, con alcuni detti che hanno voluto condividere con noi:
“L’ATTIVITÁ DEL GRUPPO HA IL PESO DI UNA PIUMA”
“UNA PERSONA CHE NON SA SORRIDERE È UNA PERSONA CHE NON SA ESSERE FELICE. NON PERDERE MAI IL TUO SORRISO.”
“SE HAI LUCE NELL’ANIMA, AVRAI LA BELLEZZA NELLA TUA PERSONA”
Buona riflessione
Giorgia Gazzetti
“La storia insegna che l’inizio è difficile ma nulla è impossibile. Tutto è possibile.”
Ho pensato che sarebbe stato significativo aprire il mio articolo con questa frase pronunciata da un medico saharawi perché racchiude in poche parole il senso della vita di questo popolo che ho avuto la fortuna di conoscere nel mese di Marzo grazie al progetto di solidarietà portato avanti dall’AIC e dalla Associazione livornese di Solidarietà per il Popolo Saharawi.
Per una settimana abbiamo vissuto a contatto con questo popolo, abbiamo condiviso le loro abitudini e affrontato le ostilità del deserto e dei disagi igienico –sanitari e posso sinceramente affermare che i miei piccoli sacrifici per dar loro una mano non sono stati nulla in confronto al grande insegnamento che mi hanno lasciato:
“Affrontare la vita con il sorriso, con fiducia, con ottimismo e con umiltà”.
Quando ho deciso di vivere questa meravigliosa esperienza non sapevo bene a cosa andassi incontro sebbene conoscessi a grandi linee le tristi vicende del popolo saharawi.
Immaginate di leggere un libro di storia e vedere stampati su un foglio di carta date, nomi, avvenimenti, scoperte, guerre, vite.
Ora chiudete gli occhi e provate a dare un’immagine a quel fiume di parole stampate: anche se la fantasia può correre in vostro aiuto non riuscirete mai a far parte completamente di quella realtà.
Perché?
Perché seppure durante tutto il tempo che divideva la mia partenza ho provato a pensare come sarebbe stato, a farmi un’idea di un altrove a me lontanissimo e di un altro altrettanto “diverso” da me per cultura, religione, costumi, tradizioni e vicende storiche ho avuto risposta alle mie domande e alle mie curiosità soltanto trovandomi immersa nella vastità del deserto e a contatto con i saharawi.
Finalmente potevo toccarli, sentire la loro voce, farmi raccontare la “loro” storia, quella vista attraverso i loro occhi e le loro ragioni, vissuta attraverso le loro emozioni e i loro dolori.
È proprio una voce rotta dall’emozione durante un racconto, un particolare sorriso, un’espressione nostalgica o felice, un ricordo che fanno la differenza quando si cercano delle testimonianze vere e le si possono trovare solo ascoltando chi le ha vissute sulla propria pelle.
Qui non si tratta di giudicare chi ha torto o chi ha ragione o di cercare verità nascoste ma solo di dare voce ad un popolo che da trenta anni sopravvive, non vive perché lotta quotidianamente con la povertà, la fame, con l’ostilità del deserto, con le malattie, con il caldo insopportabile, la mancanza d’acqua, costretto ad un esilio forzato e alle conseguenze nate dalla divisione dei nuclei familiari.
Il mio articolo non vuole assolutamente entrare nei dettagli politici o burocratici ed è per questo che cercherò di trattare la celiachia che ci accomuna con questo popolo esimendomi da questi aspetti ma tentando di raccontarvi come i saharawi di fronte all’ennesimo ostacolo abbiano reagito.
Premetto che tutte le mie riflessioni, le mie considerazioni e la mia sensibilità intorno alla celiachia scaturiscono dal fatto che io stessa sia celiaca e quindi credo di aver osservato le condizioni con cui vivono i celiaci saharawi con un occhio “esperto”, cercando di immedesimarmi in loro.
La comparsa della celiachia ha inevitabilmente aggravato la già disastrata vita del popolo saharawi, soprattutto nella fase iniziale quando non era ancora conosciuta e senza una causa comprensibile morivano bambini.
Sia il prof. Catassi che Patrizia hanno manifestato molta soddisfazione nell’aver constatato l’evoluzione progressiva del Progetto Celiachia da quando, molti anni fa, ne hanno assunto l’impegno creando una fitta collaborazione tra Aic e Associazione Livornese di solidarietà per il popolo Saharawi.
La felicità più grande è stata quella di verificare che il progetto essenzialmente va avanti da solo grazie alle persone del posto che, dopo essere state educate al problema e armate degli strumenti tecnici e conoscitivi essenziali, sono state in grado di creare un canale di comunicazione sia con il paziente stesso che con le famiglie.
Io per una settimana, insieme ad altre compagne d’avventura celiache, sono stata ospite di due famiglie dove alcuni componenti erano celiaci.
Ho potuto notare con quanta rigidità osservino la dieta senza glutine per i loro piccoli nonostante le ristrettezze alimentari dovute alla povertà oltre a quelle imposte dalla celiachia stessa!
Sia i bimbi che la famiglia stessa mi sono sembrati ben consapevoli di cosa significa essere celiaci, dei limiti che comporta e dei rischi che ne deriverebbero se ci fossero “trasgressioni”. Ma soprattutto ho potuto verificare che la celiachia è stata accettata visto che viene affrontata con il sorriso e non è considerata un problema… Anche se ne avrebbero tutte le ragioni!
Questo popolo è animato da un forte spirito di sopportazione e di ottimismo e sono state le due qualità che più mi hanno colpito per non parlare del loro fortissimo senso di ospitalità e di generosità!
Ho potuto osservare con i miei occhi anche la realtà di quegli adolescenti celiaci che vivono fuori la protezione della casa e che per la prima volta si trovano a dover affrontare la loro condizione da soli frequentando il sesto anno di scuola nel collegio.
Le loro scuole sono molto umili ma si è cercato di renderle il più accoglienti possibili sia a livello umano che estetico; purtroppo sia i dormitori, le aule, i cortili, i bagni, le cucine e le mense stesse sono in condizioni disastrose seppure alcune aree siano state ristrutturate.
In queste condizioni come si può immaginare che sia possibile organizzare una cucina senza glutine anche per pochi ragazzi celiaci e garantire loro un’alimentazione equilibrata e regolare?
Eppure nonostante tutte le complicazioni e i disagi, la mensa scolastica riesce a garantire la dieta priva di glutine anche se questo comporta che quei bambini debbano mangiare in un’altra area attrezzata esclusivamente per le loro esigenze.
Sembra strano crederlo se si pensa che ancora oggi questo tipo di mentalità è quasi totalmente estranea alla cultura italiana. Quando ho visto dove erano “relegati” quei bambini durante i pasti, che come si sa sono i momenti migliori di socializzazione, ho pensato che non fosse giusto isolarli dal resto della scolaresca: mi hanno spiegato che per ora non è possibile offrire loro una soluzione diversa e mi auguro che vivano questo isolamento senza complessi.
Questa realtà mi ha portato a fare una riflessione: forse noi occidentali viviamo la celiachia in maniera più esasperata avendo più modelli con cui confrontarci e un mondo con cui scontrarci per superare le “barriere” dell’alimentazione.
In quella settimana di marzo, passata troppo in fretta purtroppo, ho provato delle emozioni fortissime sia per la durezza della vita che i saharawi sono costretti a condurre sia per la bellezza dell’arido deserto che è popolato da persone meravigliose che hanno bisogno della nostra solidarietà per dare una svolta incisiva alla loro storia…
I Saharawi sono una popolazione fornita di una saldissima forza di volontà, di coraggio, di amore, di intelligenza e di apertura verso gli altri ma hanno bisogno del sostegno materiale e affettivo di tutti noi per sopravvivere…
Se li conosceste ve ne innamorereste come è capitato a me in una sola settimana…
GRAZIE al popolo Saharawi il cui ricordo mi riempie il cuore di gioia e di emozione appena nella mente mi si riproduce un’immagine o un suono, anche il solo silenzio, di quel mondo meraviglioso che mi ha regalato la consapevolezza di quanto sia bella la diversità e di come ci si possa sentire a casa anche a migliaia di km di distanza se si è circondati da calore e umanità…
Concludo il mio articolo dando la parola a loro, i Saharawi, con alcuni detti che hanno voluto condividere con noi:
“L’ATTIVITÁ DEL GRUPPO HA IL PESO DI UNA PIUMA”
“UNA PERSONA CHE NON SA SORRIDERE È UNA PERSONA CHE NON SA ESSERE FELICE. NON PERDERE MAI IL TUO SORRISO.”
“SE HAI LUCE NELL’ANIMA, AVRAI LA BELLEZZA NELLA TUA PERSONA”
Buona riflessione
Giorgia Gazzetti
4 commenti:
Vorrei poter usare il tuo articolo sui Saharawi e la celiachia nel mio blog dedicato ai Saharawi.
So che fra di loro vi è una presenza della celiachia che è tre volte superiore alla media mondiale, non ho mai capito il perché.
il blog è:
http://www.bloggers.it/vogliamoilreferendum/
ti ringrazio in anticipo.
Ciao Francesco certo che puoi usare il mio articolo: anzi ti ringrazio per avermelo chiesto!Però ti chiedo di mantenere la mia firma nel rispetto della rivista "Celiachia Notizie" per cui l'ho scritto e per il mio lavoro.
Metterò il link, un cappello di poche righe e riferirò dove è stato pubblicato l'articolo, ho trovato un'intervista dove ipotizzano i motivi della forte presenza della celiachia fra i saharawi, lo riprenderò fra qualche giorno.
Forse lo conosci:
http://www.lswn.it/nutrizione/articoli/la_malattia_celiaca_non_e_tipica_solo_dei_paesi_piu_industrializzati
grazie
Ciao se ti interessa saperne di più posso metterti in contatto con il Prof. Catassi, uno dei primi medici italiani che ha studiato il fenomeno e che li ha curati. Inviagli una mail chiedendogli se puoi fargli delle domande in merito. Sono sicura che sarà disponibilissimo come sempre. Ecco l'indirizzo e-mail: catassi@tin.it Spiegagli che te l'ho fornito io e come ci siamo conosciuti. Interessante il tuo blog.. Lo leggerò più approfonditamente nei prox giorni!
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