Principi e capitani d’industria: i nuovi ricchi cinesi
In Cina la crescita dei ricchissimi è folgorante. Su una popolazione di 1.300.000 abitanti, oggi i milionari sono 236mila e aumentano del 12 per cento ogni anno. Il reddito medio per abitante è di 120 euro e 700milioni di persone vivono con meno di 2 euro al giorno. Ieri il Dragone era la patria di un egualitarismo esasperato. Per circa trent’anni Mao non aveva tollerato nessun tipo di ricchezza materiale, aveva considerato il consumismo un’ideologia borghese e controrivoluzionaria e nel 1954 aveva abolito la proprietà privata. Oggi la Cina è uno dei Paesi che ha più disuguaglianze al mondo. Se alla vigilia delle riforme economiche la casacca blu e la bicicletta erano spesso i soli beni posseduti dai cinesi, all’inizio degli anni Ottanta il nuovo leader, Den Xiaoping, concede al popolo la libertà economica e nel 1984 lo slogan imperante è “Diventare ricchi e gloriosi”! Il risultato è che migliaia di persone intraprendono la sfida, la proprietà privata viene riabilitata dalla Costituzione e nascono due categorie di ricchi in Cina. Gli uomini legati al Partito Comunista, i cosiddetti “Principi”, i figli dei capi comunisti, che hanno accesso a ogni settore di attività, compresi gli ambiti che dipendono dalla proprietà pubblica, senza correre il rischio di annegare nel mare degli affari. E i grandi imprenditori, i self made men, senza legami particolari con il partito, di origini sociali spesso modeste e che hanno fatto fortuna nei settori dove il governo ha autorizzato lo sviluppo della proprietà privata. Ma quale è una delle conseguenze dell’occidentalizzazione a partire dagli inizi del Novecento e di questa ricchezza esagerata riservata a pochi? In particolare una. La proverbiale austerità dei cinesi è finita: oggi i ricchi non hanno paura di dimostrarlo agli altri. E come? Attraverso l’ostentazione sfrenata di yacht, aerei privati, di ville lussuose e super accessoriate, facendo viaggi all’estero, coltivando la passione per l’arte cinese e investendo nell’educazione dei figli anche all’estero. Se da una parte il benessere del clan familiare dei nuovi ricchi è assicurato, dall’altro la mancanza di investimenti dello Stato nei settori dell’educazione, della sanità, dell’approvvigionamento idrico, della tutela dell’ambiente a lungo andare non potrà che scatenare il mal contento di tutti quei lavoratori cinesi sottopagati (0,45 euro all’ora, 1/20 del salario europeo) che vivono in condizioni di estrema povertà e sfruttamento sia nelle campagne che nei dintorni di grandi città come Shanghai o Pechino. Questo non potrà che mettere a rischio l’ascesa cinese. Ma non si può negare che il XXI° secolo potrebbe essere il secolo cinese. La Cina sta concentrando i suoi investimenti in due settori: materie prime per alimentare la produzione e reti di distribuzione per aiutare le esportazioni. I paesi occidentali vedono la Cina come una minaccia alle proprie economie ma invocare il protezionismo e il boicottaggio del “made in china” non aiuterà certamente il progresso civile, l’affermazione della democrazia, la tutela del lavoro e il riconoscimento dei diritti umani in questo paese considerato fino a poco fa “in via di sviluppo”.
Giorgia Gazzetti
Nessun commento:
Posta un commento