di Giorgia Gazzetti
Gli immigrati di seconda generazione, in Italia, hanno varcato la soglia del milione a gennaio 2008, con tre/quattro anni di anticipo rispetto alle previsioni. L’effetto dei ricongiungimenti familiari e delle nuove nascite è evidente anche nelle grandi città del Nord: un nato su tre è straniero.
Il trend è stato elaborato dalla Fondazione Giovanni Agnelli, istituto indipendente di cultura e di ricerca nel campo delle scienze umane e sociali, analizzando i dati presentati dall’Istat ad ottobre 2007 ed integrati dalle informazioni di fonte anagrafica provenienti da alcune grandi città italiane.
Lo studio, presentato in occasione del Melting Box, la Fiera dei diritti e delle Pari opportunità, svoltasi al Lingotto di Torino il 23 ottobre 2007, ha posto l’attenzione su un tema di stringente attualità: l’integrazione dei figli degli immigrati.
Le stime considerano i nati in Italia da genitori stranieri (incluse le coppie miste), cioè “le seconde generazioni in senso stretto”, e le cosiddette generazioni frazionali: “la generazione 1,75” (i giovani nati all'estero e immigrati in Italia in età prescolare, ovvero 0-5 anni), “la generazione 1,5” (i giovani stranieri immigrati in età comprese nella fascia 6-12 anni) e “la generazione 1,25” (i giovani stranieri immigrati in età compresa tra i 13 e i 17 anni). Questa partizione si rivela utile per la comprensione dei diversi percorsi d'integrazione intrapresi dai giovani immigrati.
Oggi, in Italia, sono prevalenti soprattutto gli ultimi due gruppi, formati da ragazzi che hanno iniziato il proprio percorso di socializzazione e di scolarizzazione nel Paese d'origine e sono perciò portatori di difficoltà specifiche, prima fra tutti l'apprendimento dell'italiano.
Ma, con il passare del tempo, crescerà la percentuale di figli di stranieri nati e interamente scolarizzati in Italia: il loro problema non sarà più l’apprendimento della lingua italiana e le loro aspettative tenderanno ad avvicinarsi sempre più a quelle dei loro coetanei italiani.
Come ha dichiarato Marco Demarie, direttore della Fondazione dal 2001 al 31 gennaio 2008: «Le seconde generazioni sono già oggi una realtà di dimensioni importanti. L'accelerazione della loro crescita ci chiede di accelerare i nostri tempi di reazione nel capire le domande e i problemi che esse ci porranno. Nella scuola e nella vita quotidiana stanno dimostrando voglia di fare e di crescere, di diventare cittadini a pieno titolo e persone realizzate nella vita e nel lavoro».
Favorire l’integrazione a tutti i livelli degli immigrati significa, anche, evitare la diffusione di fenomeni come l’emarginazione, la delinquenza e la nascita di forme di razzismo, odio e intolleranza estrema tra culture diverse che, nell’epoca della globalizzazione, devono necessariamente imparare a convivere.
Questo milione di giovani e giovanissimi, insieme alle future generazioni dei figli di figli di immigrati, rappresenta un’importante risorsa di energia e di vitalità ma ha bisogno di essere sostenuta e difesa dalla classe politica, dall’opinione pubblica e dai cittadini stessi per evitare di cadere in una condizione di subalternità come è avvenuto e sta ancora avvenendo ad una consistente fetta di immigrati adulti.
Il trend è stato elaborato dalla Fondazione Giovanni Agnelli, istituto indipendente di cultura e di ricerca nel campo delle scienze umane e sociali, analizzando i dati presentati dall’Istat ad ottobre 2007 ed integrati dalle informazioni di fonte anagrafica provenienti da alcune grandi città italiane.
Lo studio, presentato in occasione del Melting Box, la Fiera dei diritti e delle Pari opportunità, svoltasi al Lingotto di Torino il 23 ottobre 2007, ha posto l’attenzione su un tema di stringente attualità: l’integrazione dei figli degli immigrati.
Le stime considerano i nati in Italia da genitori stranieri (incluse le coppie miste), cioè “le seconde generazioni in senso stretto”, e le cosiddette generazioni frazionali: “la generazione 1,75” (i giovani nati all'estero e immigrati in Italia in età prescolare, ovvero 0-5 anni), “la generazione 1,5” (i giovani stranieri immigrati in età comprese nella fascia 6-12 anni) e “la generazione 1,25” (i giovani stranieri immigrati in età compresa tra i 13 e i 17 anni). Questa partizione si rivela utile per la comprensione dei diversi percorsi d'integrazione intrapresi dai giovani immigrati.
Oggi, in Italia, sono prevalenti soprattutto gli ultimi due gruppi, formati da ragazzi che hanno iniziato il proprio percorso di socializzazione e di scolarizzazione nel Paese d'origine e sono perciò portatori di difficoltà specifiche, prima fra tutti l'apprendimento dell'italiano.
Ma, con il passare del tempo, crescerà la percentuale di figli di stranieri nati e interamente scolarizzati in Italia: il loro problema non sarà più l’apprendimento della lingua italiana e le loro aspettative tenderanno ad avvicinarsi sempre più a quelle dei loro coetanei italiani.
Come ha dichiarato Marco Demarie, direttore della Fondazione dal 2001 al 31 gennaio 2008: «Le seconde generazioni sono già oggi una realtà di dimensioni importanti. L'accelerazione della loro crescita ci chiede di accelerare i nostri tempi di reazione nel capire le domande e i problemi che esse ci porranno. Nella scuola e nella vita quotidiana stanno dimostrando voglia di fare e di crescere, di diventare cittadini a pieno titolo e persone realizzate nella vita e nel lavoro».
Favorire l’integrazione a tutti i livelli degli immigrati significa, anche, evitare la diffusione di fenomeni come l’emarginazione, la delinquenza e la nascita di forme di razzismo, odio e intolleranza estrema tra culture diverse che, nell’epoca della globalizzazione, devono necessariamente imparare a convivere.
Questo milione di giovani e giovanissimi, insieme alle future generazioni dei figli di figli di immigrati, rappresenta un’importante risorsa di energia e di vitalità ma ha bisogno di essere sostenuta e difesa dalla classe politica, dall’opinione pubblica e dai cittadini stessi per evitare di cadere in una condizione di subalternità come è avvenuto e sta ancora avvenendo ad una consistente fetta di immigrati adulti.
Anche dal Rapporto Istat sulla “Natalità e fecondità della popolazione residente” emergono dati interessanti. Nel 2006 sono stati registrati, nelle anagrafi comunali, 560.010 nascite. Circa 34.000 in più rispetto al 1995, anno in cui si è registrato il minimo storico delle nascite e della fecondità (526.064 nati), e poco più della metà dei nati del 1964, quando in Italia si è raggiunto, invece, il massimo storico (1.035.207 nati).
Il dato che maggiormente ci interessa, in questa sezione, riguarda l’aumento dei nati da coppie di genitori stranieri: nel 2006 sono quasi 58mila, pari al 10,3 per cento del totale dei nati della popolazione residente. La proporzione sale al 14,3 per cento se si considerano anche i nati da coppie miste (circa 22 mila).
Queste dinamiche hanno i loro effetti anche sui livelli di fecondità. Nel 2006 le cittadine straniere residenti hanno avuto in media 2,5 figli per donna, il doppio di quelli avuti dalle italiane (1,26).
La maggiore propensione ad avere figli mostrata dalle cittadine straniere ha contribuito significativamente alla ripresa della fecondità per il complesso della popolazione residente: da 1,19 a 1,35 figli per donna nel 2006.
Al di là dei numeri e delle buone intenzioni, molti immigrati e quindi anche bambini vivono da emarginati in un ambiente altro, lontani dal luogo natio, dalla propria cultura, dalle proprie tradizioni ed abitudini. Alcuni, addirittura vivono in clandestinità. Senza diritti, tutele e doveri.
Già in occasione della presentazione del secondo Rapporto sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (2006), Save the Children non solo denunciava la mancanza di dati ufficiali sul numero di bambini rom, di minori in strutture residenziali come istituti e case-famiglia e l’assenza di una banca dati dei minori dichiarati adottabili e degli aspiranti genitori adottivi, ma evidenziava la riduzione in povertà di molti bambini insieme alle loro famiglie e il dilagante aumento di fenomeni di sfruttamento legati alle condizioni di disagio sociale, emarginazione e solitudine per minori stranieri ed italiani.
Il tema della miseria, dell’umiliazione, del sacrificio, dello sradicamento dalla propria terra, della rabbia, del risentimento, del terrore, della fame, dell’instabilità sono raccontati, con partecipazione e passione, da Steinbeck attraverso il viaggio della speranza di una famiglia di migranti, la famiglia Joad, nel romanzo Furore, il cui titolo originale è The Grapes of Wrath.
«Dalle tende, dai cascinali affollati, uscivano, nei loro stracci, gruppi d’uomini gracili con le scarpe ridotte a viscida polpa; e guazzavano alla volta dei paesi, o dei negozi di campagna, per mendicare: mendicare cibo o sussidi. O per provare a rubare. E sotto questa suprema degradazione cominciò a fermentare il furore della disperazione. […] Anche la compassione che gli abitanti dapprima sentivano verso i nomadi fradici, prese a convertirsi in furore; e il furore contro gli affamati si convertì a sua volta in paura degli affamati. […] Frenetici, i pezzenti venivano a bussare alla porte dei medici; ma il medico aveva sempre troppo da fare. […] Rintanati negli umidi fienili o nei ripostigli annessi alla case coloniche, la fame e il terrore generarono finalmente il furore. […] Non sarebbe mai venuta la fine finché la paura si fosse tramutata in furore[1]».
Steinbeck racconta le verità della povertà, verità universali che riguardano anche gli immigrati e i poveri di oggi:
«Le cause giacciono più in fondo, e sono semplici: sono la fame d’uno stomaco moltiplicata un milione di volte, la sete d’un singolo spirito, sete di sicurezza, sete di tranquillità, moltiplicata un milione di volte; l’ansia di muscoli e cervelli che aspirano a crescere a lavorare a creare, moltiplicata un milione di volte[2]».
Il dato che maggiormente ci interessa, in questa sezione, riguarda l’aumento dei nati da coppie di genitori stranieri: nel 2006 sono quasi 58mila, pari al 10,3 per cento del totale dei nati della popolazione residente. La proporzione sale al 14,3 per cento se si considerano anche i nati da coppie miste (circa 22 mila).
Queste dinamiche hanno i loro effetti anche sui livelli di fecondità. Nel 2006 le cittadine straniere residenti hanno avuto in media 2,5 figli per donna, il doppio di quelli avuti dalle italiane (1,26).
La maggiore propensione ad avere figli mostrata dalle cittadine straniere ha contribuito significativamente alla ripresa della fecondità per il complesso della popolazione residente: da 1,19 a 1,35 figli per donna nel 2006.
Al di là dei numeri e delle buone intenzioni, molti immigrati e quindi anche bambini vivono da emarginati in un ambiente altro, lontani dal luogo natio, dalla propria cultura, dalle proprie tradizioni ed abitudini. Alcuni, addirittura vivono in clandestinità. Senza diritti, tutele e doveri.
Già in occasione della presentazione del secondo Rapporto sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (2006), Save the Children non solo denunciava la mancanza di dati ufficiali sul numero di bambini rom, di minori in strutture residenziali come istituti e case-famiglia e l’assenza di una banca dati dei minori dichiarati adottabili e degli aspiranti genitori adottivi, ma evidenziava la riduzione in povertà di molti bambini insieme alle loro famiglie e il dilagante aumento di fenomeni di sfruttamento legati alle condizioni di disagio sociale, emarginazione e solitudine per minori stranieri ed italiani.
Il tema della miseria, dell’umiliazione, del sacrificio, dello sradicamento dalla propria terra, della rabbia, del risentimento, del terrore, della fame, dell’instabilità sono raccontati, con partecipazione e passione, da Steinbeck attraverso il viaggio della speranza di una famiglia di migranti, la famiglia Joad, nel romanzo Furore, il cui titolo originale è The Grapes of Wrath.
«Dalle tende, dai cascinali affollati, uscivano, nei loro stracci, gruppi d’uomini gracili con le scarpe ridotte a viscida polpa; e guazzavano alla volta dei paesi, o dei negozi di campagna, per mendicare: mendicare cibo o sussidi. O per provare a rubare. E sotto questa suprema degradazione cominciò a fermentare il furore della disperazione. […] Anche la compassione che gli abitanti dapprima sentivano verso i nomadi fradici, prese a convertirsi in furore; e il furore contro gli affamati si convertì a sua volta in paura degli affamati. […] Frenetici, i pezzenti venivano a bussare alla porte dei medici; ma il medico aveva sempre troppo da fare. […] Rintanati negli umidi fienili o nei ripostigli annessi alla case coloniche, la fame e il terrore generarono finalmente il furore. […] Non sarebbe mai venuta la fine finché la paura si fosse tramutata in furore[1]».
Steinbeck racconta le verità della povertà, verità universali che riguardano anche gli immigrati e i poveri di oggi:
«Le cause giacciono più in fondo, e sono semplici: sono la fame d’uno stomaco moltiplicata un milione di volte, la sete d’un singolo spirito, sete di sicurezza, sete di tranquillità, moltiplicata un milione di volte; l’ansia di muscoli e cervelli che aspirano a crescere a lavorare a creare, moltiplicata un milione di volte[2]».
Quali sono le aspettative di vita per il popolo, sempre crescente, di baby mendicanti, baby- borseggiatori, baby-lavoratori in nero, baby- schiavi coinvolti nel racket dello sfruttamento, della prostituzione, nello spaccio della droga o nel fenomeno della tratta?
La Giornata mondiale contro il lavoro minorile, tenutasi il 12 giugno 2008, ha ribadito un concetto importante: bisogna ripartire dall’istruzione per debellare questo male. Favorire il processo di scolarizzazione dei bambini e ridurre la vulnerabilità delle famiglie e creare un sistema di incentivi per favorire l’abbandono del lavoro minorile è una delle strade percorribili per estirpare questa piaga.
Nemmeno l’Italia, così come molti altri paesi ricchi, è immune da questi problemi. I bambini che lavorano nel nostro Paese sarebbero tra i 480 mila e i 500 mila, secondo uno studio dell’Ires- Cgil, condotto insieme a Save the Children Italia.
E per la maggior parte si tratta di figli di migranti e stranieri.
Nel Belpaese, il fenomeno esiste sia come fatto locale che transnazionale. Maggiormente diffuso nel settore agricolo e nella lavorazione della pelle, il problema maggiore dipende dal fatto che la penisola italiana è la destinazione e insieme il luogo di transito del traffico di minori dall’Europa orientale e dall’Asia centrale verso il mondo occidentale.
Secondo Furio Camillo Rosati, docente di scienze delle Finanze a Tor Vergata ed esperto internazionale di lavoro minorile, l’impennata mondiale dei prezzi delle derrate alimentari potrebbe innescare un nuovo drammatico aumento del fenomeno.
L’allarme viene lanciato durante la conferenza stampa per la presentazione del Rapporto Oil- Onu (Organizzazione per il lavoro delle nazioni Unite e Organizzazione delle nazioni Unite), in occasione della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile.
Le famiglie più povere potrebbero avere necessità di far lavorare i propri figli per risolvere le difficoltà di reddito.
Insomma il calo dell’11% dei lavoratori minorenni dai 5 ai 17 anni, che si è registrato dal 2000 al 2004, passando da 246 a 218 milioni (28 milioni di bambini lavoratori in meno, dato che riguarda soprattutto la fascia dei lavori pericolosi e coincide con la contemporanea crescita della scolarizzazione ), è destinato ad aumentare nuovamente.
Se le cifre più preoccupanti riguardano i paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, non è nemmeno trascurabile il fenomeno dei bambini-lavoratori che coinvolge l’Europa.
Infatti come ha affermato Kailash Satyarthi, di nazionalità indiana, fondatore e presidente di Global March Against Child Labour, in un’intervista rilasciata su Avvenire:
«Si potrebbe pensare che il fenomeno sia ancora sensibile dove la povertà è maggiore, ma non sempre è così. In realtà, in molte parti del mondo, la crescita economica non va di pari passo con una maggiore giustizia sociale, soprattutto rispetto ai bambini. Fondamentale è la volontà politica».
I minori, in Italia, lavorano nell’ombra, di nascosto. Sempre in nero, sempre pagati poco. Sempre precari. Ma non sono eccezioni. Sono, per definizione, lavoratori poveri, perché la povertà è il primo fattore che strappa i minori dalla scuola. E il tasso di povertà tra i più giovani è al sud quattro volte superiore a quello del nord.
A livello internazionale, i bambini comprati, venduti, rapiti e sfruttati ogni anno dai trafficanti sono 1,5 milioni. Adescati in estremo oriente e nei Paesi dell’Est, i piccoli schiavi vengono condotti in Italia, Germania, Gran Bretagna ed altri Paesi dell’occidente.
Un altro dato allarmante, fornito dall’Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia, riguarda il numero di bambini rom fra i due e i 12 anni costretti a mendicare: 50 mila. Ogni giorno, i piccoli mendicanti devono raccogliere, in media, 10 euro.
Il Lazio è una delle regioni con il più alto numero: circa 8 mila. Ma il fenomeno non è trascurabile nemmeno nelle altre grandi città della penisola come Milano, Napoli e Firenze dove, di recente, sono stati presi diversi provvedimenti per arginare il fenomeno dell’accattonaggio, tra cui la Legge 23 maggio 2008 n. 92 recante “Disposizione in materia di sicurezza”, presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, dal Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, e dal Ministro della Giustizia, Angelino Alfano e comunicato alla presidenza il 3 giugno 2008.
Il suddetto decreto, diviso in 20 articoli, è stato emanato dal Governo per soddisfare la richiesta di sicurezza avanzata dai cittadini. In particolare gli articoli 6 ed 8 prevedono, rispettivamente, un’aggravante per i reati commessi in concorso con i minori e il nuovo reato che punisce l’impiego dei minori stessi nell’accattonaggio.
Altra questione, invece, il censimento dei campi nomadi, abusivi e non, proposto dall’esecutivo. Firmata il 30 maggio 2008 dal presidente del Consiglio, l’ordinanza di protezione civile intende fronteggiare l’emergenza dei campi nomadi partendo dalla regioni Campania, Lombardia e Lazio, dove il problema è maggiormente avvertito.
Gli oltre 700 campi nomadi abusivi censiti, infatti, sono concentrati proprio a Napoli, Milano e Roma. Ma si registra una forte presenza anche in altre città: Brescia, Pavia, Padova, Genova, Bologna, Reggio Emilia e Bari.
Secondo il ministro Maroni: «Il censimento è un modo per dare identità e quindi diritti. In molti campi abusivi ci sono condizioni sub-umane in cui i bambini sono costretti a vivere con i topi».
Scopo del censimento è «porre fine all’indecenza dei campi nomadi abusivi e garantire sicurezza ai cittadini italiani, ma anche e soprattutto ai minori che vivono in questi campi».
«Nessuna schedatura», ha precisato Maroni, «ma un censimento». Inoltre la procedura di identificazione avviata dai prefetti di Roma, Milano e Napoli non riguarda soltanto i rom, ma «tutti coloro che vivono nei campi nomadi: rom italiani, rom romeni, rom extracomunitari e cittadini extracomunitari appartenenti ad altre nazioni».
L’intenzione di Maroni è quella di dare piena attuazione ai Patti per la sicurezza sottoscritti con le città e garantire a chi ha il diritto di restare nei campi di farlo in condizioni dignitose.
Le operazioni dovranno concludersi entro il 15 ottobre 2008. E successivamente si procederà alla scolarizzazione dei minori e alla bonifica delle aree. Un primo report sui risultati della raccolta dati sarà disponibile da fine luglio.
Secondo i dati in possesso del Viminale, sono circa 152 mila i rom presenti in Italia, di cui il 37% italiani. Il dato sicuramente dovrà essere aggiornato.
Sapere quante persone, tra cittadini italiani, cittadini comunitari di varie etnie e stranieri, privati della propria dignità, vivono in condizioni di miseria sarà utile per offrire loro un aiuto concreto.
Nel caso della Capitale, gli accampamenti abusivi regolari sono 80 dove, secondo le stime, vivono circa 7.500 persone.
A questi numeri si aggiungono gli 890 minori scomparsi in Italia l’anno scorso, di cui 672 di nazionalità straniera.
«Il governo italiano», prosegue Maroni, «vuole dare dignità alle migliaia di bambini ombra che abitano nei campi», a tutti quei bambini invisibili cui è negato il diritto all’infanzia e all’istruzione per elemosinare o rubare per le strade delle città.
In merito all’iniziativa avanzata dal governo di prendere le impronte digitali ai bambini rom, Berlusconi ha spiegato, in occasione di un incontro con il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, che: «Si tratta di una volontà positiva per garantire anche a loro la possibilità di andare a scuola».
«Quanto agli adulti», sottolinea il premier, «la necessità di rilevare le loro impronte digitali nasce dalla volontà di favorire la loro integrazione».
I punti saldi sono: regolarizzare i campi nomadi, censire i suoi abitanti, garantire condizioni igienico sanitarie adeguate, ridurre il reato di induzione di accattonaggio. In generale tutelare le fasce deboli (minori, donne e anziani) e salvaguardare i loro diritti.
Nemmeno l’Italia, così come molti altri paesi ricchi, è immune da questi problemi. I bambini che lavorano nel nostro Paese sarebbero tra i 480 mila e i 500 mila, secondo uno studio dell’Ires- Cgil, condotto insieme a Save the Children Italia.
E per la maggior parte si tratta di figli di migranti e stranieri.
Nel Belpaese, il fenomeno esiste sia come fatto locale che transnazionale. Maggiormente diffuso nel settore agricolo e nella lavorazione della pelle, il problema maggiore dipende dal fatto che la penisola italiana è la destinazione e insieme il luogo di transito del traffico di minori dall’Europa orientale e dall’Asia centrale verso il mondo occidentale.
Secondo Furio Camillo Rosati, docente di scienze delle Finanze a Tor Vergata ed esperto internazionale di lavoro minorile, l’impennata mondiale dei prezzi delle derrate alimentari potrebbe innescare un nuovo drammatico aumento del fenomeno.
L’allarme viene lanciato durante la conferenza stampa per la presentazione del Rapporto Oil- Onu (Organizzazione per il lavoro delle nazioni Unite e Organizzazione delle nazioni Unite), in occasione della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile.
Le famiglie più povere potrebbero avere necessità di far lavorare i propri figli per risolvere le difficoltà di reddito.
Insomma il calo dell’11% dei lavoratori minorenni dai 5 ai 17 anni, che si è registrato dal 2000 al 2004, passando da 246 a 218 milioni (28 milioni di bambini lavoratori in meno, dato che riguarda soprattutto la fascia dei lavori pericolosi e coincide con la contemporanea crescita della scolarizzazione ), è destinato ad aumentare nuovamente.
Se le cifre più preoccupanti riguardano i paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, non è nemmeno trascurabile il fenomeno dei bambini-lavoratori che coinvolge l’Europa.
Infatti come ha affermato Kailash Satyarthi, di nazionalità indiana, fondatore e presidente di Global March Against Child Labour, in un’intervista rilasciata su Avvenire:
«Si potrebbe pensare che il fenomeno sia ancora sensibile dove la povertà è maggiore, ma non sempre è così. In realtà, in molte parti del mondo, la crescita economica non va di pari passo con una maggiore giustizia sociale, soprattutto rispetto ai bambini. Fondamentale è la volontà politica».
I minori, in Italia, lavorano nell’ombra, di nascosto. Sempre in nero, sempre pagati poco. Sempre precari. Ma non sono eccezioni. Sono, per definizione, lavoratori poveri, perché la povertà è il primo fattore che strappa i minori dalla scuola. E il tasso di povertà tra i più giovani è al sud quattro volte superiore a quello del nord.
A livello internazionale, i bambini comprati, venduti, rapiti e sfruttati ogni anno dai trafficanti sono 1,5 milioni. Adescati in estremo oriente e nei Paesi dell’Est, i piccoli schiavi vengono condotti in Italia, Germania, Gran Bretagna ed altri Paesi dell’occidente.
Un altro dato allarmante, fornito dall’Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia, riguarda il numero di bambini rom fra i due e i 12 anni costretti a mendicare: 50 mila. Ogni giorno, i piccoli mendicanti devono raccogliere, in media, 10 euro.
Il Lazio è una delle regioni con il più alto numero: circa 8 mila. Ma il fenomeno non è trascurabile nemmeno nelle altre grandi città della penisola come Milano, Napoli e Firenze dove, di recente, sono stati presi diversi provvedimenti per arginare il fenomeno dell’accattonaggio, tra cui la Legge 23 maggio 2008 n. 92 recante “Disposizione in materia di sicurezza”, presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, dal Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, e dal Ministro della Giustizia, Angelino Alfano e comunicato alla presidenza il 3 giugno 2008.
Il suddetto decreto, diviso in 20 articoli, è stato emanato dal Governo per soddisfare la richiesta di sicurezza avanzata dai cittadini. In particolare gli articoli 6 ed 8 prevedono, rispettivamente, un’aggravante per i reati commessi in concorso con i minori e il nuovo reato che punisce l’impiego dei minori stessi nell’accattonaggio.
Altra questione, invece, il censimento dei campi nomadi, abusivi e non, proposto dall’esecutivo. Firmata il 30 maggio 2008 dal presidente del Consiglio, l’ordinanza di protezione civile intende fronteggiare l’emergenza dei campi nomadi partendo dalla regioni Campania, Lombardia e Lazio, dove il problema è maggiormente avvertito.
Gli oltre 700 campi nomadi abusivi censiti, infatti, sono concentrati proprio a Napoli, Milano e Roma. Ma si registra una forte presenza anche in altre città: Brescia, Pavia, Padova, Genova, Bologna, Reggio Emilia e Bari.
Secondo il ministro Maroni: «Il censimento è un modo per dare identità e quindi diritti. In molti campi abusivi ci sono condizioni sub-umane in cui i bambini sono costretti a vivere con i topi».
Scopo del censimento è «porre fine all’indecenza dei campi nomadi abusivi e garantire sicurezza ai cittadini italiani, ma anche e soprattutto ai minori che vivono in questi campi».
«Nessuna schedatura», ha precisato Maroni, «ma un censimento». Inoltre la procedura di identificazione avviata dai prefetti di Roma, Milano e Napoli non riguarda soltanto i rom, ma «tutti coloro che vivono nei campi nomadi: rom italiani, rom romeni, rom extracomunitari e cittadini extracomunitari appartenenti ad altre nazioni».
L’intenzione di Maroni è quella di dare piena attuazione ai Patti per la sicurezza sottoscritti con le città e garantire a chi ha il diritto di restare nei campi di farlo in condizioni dignitose.
Le operazioni dovranno concludersi entro il 15 ottobre 2008. E successivamente si procederà alla scolarizzazione dei minori e alla bonifica delle aree. Un primo report sui risultati della raccolta dati sarà disponibile da fine luglio.
Secondo i dati in possesso del Viminale, sono circa 152 mila i rom presenti in Italia, di cui il 37% italiani. Il dato sicuramente dovrà essere aggiornato.
Sapere quante persone, tra cittadini italiani, cittadini comunitari di varie etnie e stranieri, privati della propria dignità, vivono in condizioni di miseria sarà utile per offrire loro un aiuto concreto.
Nel caso della Capitale, gli accampamenti abusivi regolari sono 80 dove, secondo le stime, vivono circa 7.500 persone.
A questi numeri si aggiungono gli 890 minori scomparsi in Italia l’anno scorso, di cui 672 di nazionalità straniera.
«Il governo italiano», prosegue Maroni, «vuole dare dignità alle migliaia di bambini ombra che abitano nei campi», a tutti quei bambini invisibili cui è negato il diritto all’infanzia e all’istruzione per elemosinare o rubare per le strade delle città.
In merito all’iniziativa avanzata dal governo di prendere le impronte digitali ai bambini rom, Berlusconi ha spiegato, in occasione di un incontro con il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, che: «Si tratta di una volontà positiva per garantire anche a loro la possibilità di andare a scuola».
«Quanto agli adulti», sottolinea il premier, «la necessità di rilevare le loro impronte digitali nasce dalla volontà di favorire la loro integrazione».
I punti saldi sono: regolarizzare i campi nomadi, censire i suoi abitanti, garantire condizioni igienico sanitarie adeguate, ridurre il reato di induzione di accattonaggio. In generale tutelare le fasce deboli (minori, donne e anziani) e salvaguardare i loro diritti.
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