mercoledì 23 giugno 2010

La squadra dei rifugiati scende in campo

Nella Giornata mondiale promossa dall'Unhcr, una partita di calcio tra gli ospiti delle strutture di accoglienza Centro Enea e Pietralata e i ragazzi di alcune scuole. Per sensibilizzare l'opinione pubblica di Giorgia Gazzetti

Un calcio alle violenze e il tifo per l’accoglienza. In occasione della Giornata mondiale del rifugiato, che si celebra oggi (18 giugno 2010), promossa dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), la Fondazione Mondo Digitale promuove una partita di calcio tra una squadra di rifugiati e i ragazzi di alcune scuole romane. Scenderanno in campo questa sera, alle ore 19, presso il Centro sportivo Santa Maria (via Matteo Boiardo, 28), gli ospiti delle strutture di accoglienza Centro Enea e Pietralata – provenienti da Somalia, Afghanistan, Eritrea, Sudan e Costa D’Avorio –, e gli studenti di diverse scuole romane già sensibili al tema: ITIS E. Fermi, Liceo scientifico I. Newton, Liceo scientifico G. Peano e ITIS H. Hertz. Un appuntamento che si ripete da quasi dieci anni, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione, spesso sconosciuta, delle vittime di abusi, persecuzioni e violenze estreme.

«L’idea di organizzare una partita di calcio solidale – spiega il direttore scientifico della Fondazione Alfonso Molina – nasce per favorire il percorso di inserimento dei rifugiati non soltanto attraverso l’insegnamento delle nuove tecnologie, come facciamo di consueto nei due Centri, ma anche attraverso lo sport per creare una relazione tra studenti e rifugiati». Un modo per mettere in campo «le differenze culturali, le situazioni traumatiche vissute dai rifugiati ma anche per costruire un ponte di solidarietà e di dialogo tra giovani che, pur coetanei, hanno vissuto vite completamente diverse e lontane. La tortura – prosegue – è una pratica profondamente disumana e per superare questa piaga, che provoca circa 42 milioni di sfollati, bisogna fare squadra».

Lo sa bene Molina, ex rifugiato che, all’età di 23 anni, negli anni Settanta, è stato costretto a lasciare il Cile, la sua terra d’origine, e a scappare, in un primo momento in Argentina, e poi in Gran Bretagna. Qui «ho intrapreso la carriera universitaria e ho avuto la possibilità di “recuperare” il controllo della mia vita. Purtroppo – conclude Molina – l’Italia non ha una struttura di accoglienza ad alto livello come la Gran Bretagna, dove il sistema di sicurezza sociale garantiva, già allora, una sicurezza minima a livello economico e lavorativa anche ai rifugiati, fornendo un possibilità d’istruzione e un alloggio all’interno di famiglie volontarie».

“Io ci sono”. È questo il motto dell’iniziativa, a cui prenderà parte anche Omar, sudanese, 41 anni. Vive al centro Enea da un anno e da quando è in Italia ha preso la licenza di terza media e ha iniziato a frequentare numerosi corsi per imparare la lingua. Non ha voglia di raccontarci la sua storia, di rivivere ancora una volta il suo atroce passato in cui ha perso la famiglia. Ma parla del futuro e dei suoi progetti. «Sono felice di giocare di nuovo a pallone, proprio come facevo, a livello professionale, nel mio Paese, prima di fuggire». Tra i sogni nel cassetto «scrivere un libro sulla mia vita, diventare tecnico di laboratorio, acquisire la cultura di questo Paese in cui mi auguro di riuscire a vivere in modo dignitoso. Vorrei andare avanti ma è difficile».

Come ha spiegato Andrea Magrì, 19 anni, che giocherà insieme ad altri suoi compagni della V A dell’ITIS Fermi, «credo che attraverso il calcio si possano trasmettere i valori della solidarietà, della fratellanza, della lealtà, indispensabili a tutte le persone che, dopo un esilio forzato, sono senza casa, famiglia e certezze». Dello stesso parere la responsabile del Centro Enea per l’ente gestore Arciconfraternita del Santissimo Sacramento e San Grifone, Rosa Perrotta, che aggiunge: «Giocare, per i rifugiati, significa essere considerati normali. Può sembrare una affermazione banale ma non lo è dal momento che a questi giovani è stata negata l’età dei giochi, della spensieratezza, della gioia incondizionata. Ma significa anche uscire fuori dall’isolamento, dal proprio drammatico vissuto. Giocare con coetanei italiani significa concretizzare il processo di integrazione».

A dare il messaggio di benvenuto ai giocatori e al pubblico, durante la partita di stasera, sarà il ministro della Gioventù Giorgia Meloni. Mentre da bordo campo commenteranno la partita Federico Ghilardi, Maya Amenduni e Simone Conte, voci della trasmissione di Gianni Elsner “Te lo faccio vedere chi sono io”, in onda su Radio Sei, media partner dell’evento. Interverranno anche Gianluca Di Girolami, presidente del Liberi Nantes Football Club, la prima squadra di calcio interamente composta da giocatori vittime di migrazione forzata, e alcuni rappresentanti di Shoot For Change, una piattaforma che unisce iniziative di fotografi, artisti e designer con l’obiettivo di contribuire a migliorare la vita di ognuno.

18 giugno 2010

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