martedì 6 aprile 2010

"Terremoto zeronove", gli aquilani si raccontano

da Roma Sette.it

Il libro-diario di tre giovani del capoluogo abruzzese: come sono cambiate le loro vite dopo la scossa che ha devastato la città e causato 308 vittime di Giorgia Gazzetti

Le manifestazioni del ricordo. Sono partite ufficialmente nel tardo pomeriggio di ieri (5 aprile) per commemorare, attraverso canti, musica, immagini e spettacoli, le 308 vittime del terremoto che, un anno fa, ha devastato una città, L’Aquila, e spezzato la vita di un intero popolo. «Alle ore 22 la città si è illuminata - racconta, commosso, l’aquilano Emiliano Dante, “ex” docente di Cinema, fotografia e televisione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Aquila - grazie alle quattro fiaccolate che partite da quattro punti nevralgici della periferia si sono riunite a Fontana Luminosa per raggiungere uno dei luoghi simbolo della tragedia, Piazza Duomo, dove alle 3.32 sono stati letti i nomi delle vittime, ricordate anche con i rintocchi delle campane».

Una folla umana che si è riversata nelle piazze, nei vicoli, nelle strade proprio come un anno fa quando la città era ridotta a fumo e macerie. «A piazza Palazzo ci sono già molte persone, più della metà in pigiama, molti a piedi nudi, tutti con i capelli bianchi di calcinacci. Tremano di freddo e di paura. Con papà iniziamo a fare battute - siamo malati di ironia. Stridiamo con la tensione generale […] Arrivo a Piazza Duomo con l’idea di attendere l’alba per iniziare a scattare le prime foto. Nel frattempo vedo gente che conosco. Ci si chiede tutti come sta casa, ossessivamente». Emiliano racconta così il “suo” terremoto, in un libro-diario intitolato “Terremoto zeronove. Diari da un sisma”, scritto subito dopo il 6 aprile insieme a Massimiliano Laurenzi, già autore di “Paradiso dei Polli” e di diverse pièce teatrali, e Valentina Nanni, specializzanda in neuropsichiatria infantile.

L’obiettivo è «documentare quello che è successo - spiega Emiliano -. Ho immortalato con la mia macchina fotografica pezzi di vita e di luoghi del post terremoto non solo attraverso le parole ma anche con le oltre 50 immagini pubblicate nel libro». Dedicato a Lucilla Muzi, braccio destro dell’editore Edoardo Caroccia, e a tutte le vittime del sisma, il libro racconta, attraverso gli occhi dei tre protagonisti fatti, emozioni, silenzi, indignazione, paure ed ansie vissute prima, durante e dopo le 3.32 di dodici mesi fa.

«Rispetto ad un anno fa, quando mi sembrava di vivere in una barricata - prosegue Emiliano - sono cambiate molte cose, le condizioni di vita sono diverse. E in primis sono cambiato io. Prima ero una persona molto stanziale, come la maggior parte degli aquilani, ora sono un nomade: vivo tra L’Aquila e Perugia e nel giro di pochi mesi ho percorso ben 25.000 km con la macchina, in giro per l’Italia. L’Aquila, purtroppo, appare ancora come una città bombardata: migliaia di persone vivono sulle coste; passeggiando per la città ci sono ancora le macerie; quasi niente è tornato alla normalità. Io sono tornato a L’Aquila da un mese, vivo nella casetta di legno dopo aver vissuto 6 mesi nelle tendopoli e 4 sulla costa. Sono consapevole che la mia terra non tornerà più come prima. Ma bisogna accettarlo e ripartire da questo tragico episodio, che non si può cancellare, per far maturare la città, che ha problemi di identità e fatica a rivitalizzare l’economia e il tessuto sociale».

Come spiega Massimiliano:«L’Aquila è diventata una città di non luoghi. Abbiamo bisogno che ci vengano restituiti quei luoghi come le piazze, i vicoli, le fontane, in cui ci riconosciamo e amiamo incontrarci. Prima del terremoto, la città ruotava intorno al centro storico, dove si svolgevano le attività, le questioni burocratiche. Ora la città è dislocata lungo tutta la periferia. Sembra un arcipelago di cose forzatamente disorganizzate. Ma la periferia non era attrezzata prima del 6 aprile e non lo è adesso a maggior ragione. È come se un giocatore di serie D dovesse all’improvviso sostituirne uno di serie A. Purtroppo la ricostruzione deve ancora iniziare, non è finita quando sono state consegnate le casette servite, esclusivamente, per fronteggiare l’emergenza».

«Sono cambiata in tanti aspetti e tante di quelle volte dal 6 aprile scorso - racconta Valentina, che oggi vive a Londra, dove sta facendo ricerca in ambito psichiatrico - che descrivere il mio percorso richiederebbe un altro diario. Quello che di certo posso affermare è che oggi la mia capacità di portare avanti le cose in cui credo è più spiccata e la mia tristezza e malinconia sono più profonde, come se avessero messo le radici di un albero secolare».

6 aprile 2010

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